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lunedì 5 maggio 2014

Aspetto che gli assistenti sociali decidano del mio destino

Cosa succede se un giudice mette la sua transfobia davanti alla legge? Monica, donna transessuale che si è già sottoposta all'intervento di vaginoplastica, che ha una figlia che da anni la conosce come donna, si vede negare il cambio anagrafico dal giudice, che giustifica la sua transfobia con un "tua figlia potrebbe avere ripercussioni". 
 
La stessa figlia che sostiene il padre, ora donna, dovrebbe subire ripercussioni perché viene cambiato un nome su un pezzo di carta? 

Il ddl405 farebbe sparire la transfobia istituzionalizzata che siamo costrett* a subire, Monica avrebbe i documenti già da tempo, e magari anche il suo lavoro.

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  «Dentro mi sentivo una donna, volevo diventarlo a tutti gli effetti», spiega Monica, «Quando mi sono operata, a 39 anni, ero ormai divorziata da sette. Pensavo che la cosa più difficile sarebbe stata spiegare tutto a mia figlia, allora undicenne. Invece l’ha presa bene e oggi è entusiasta di me».

«Alla fine i problemi non sono venuti dalla famiglia, ma dalle istituzioni. Ho seguito tutta la prassi prevista dalla legge per ottenere il cambio di generalità sui documenti, ma un giudice ha bloccato tutto. Pretende di stabilire attraverso gli assistenti sociali quali ripercussioni avrà su mia figlia il mio cambio di sesso. “Ma come?”, gli ho detto, “Non mi ha visto? Le sembro un uomo? (Monica ha i capelli lunghi biondi e un fisico da pin up, a guardarla è difficile immaginare che prima si chiamava Marco, ndr). Io ormai sono una donna a tutti gli effetti, mi sono operata. Mia figlia lo sa e mi è accanto in questo percorso”. Niente da fare. Così adesso aspetto che gli assistenti sociali decidano del mio destino. E intanto da tre anni vivo senza diritti».

«Qualche mese fa sono finita in ospedale, i medici non sapevano in quale reparto ricoverarmi. Ma la cosa peggiore è che l’azienda di design dove lavoravo, non potendo regolarizzarmi, mi ha licenziata. Dopo diverse brutte esperienze, ho rinunciato a recarmi ai colloqui di lavoro».

«Come glielo spiego che sono Monica, ma sulle carte ancora mi chiamo Marco?»
 
«Ho rinunciato a fare la designer. Conosco trans che, non trovando lavoro, sono finite sulla strada. Io non potrei mai, e poi ho una figlia, che esempio gli darei? Così, per ora faccio le pulizie “in nero” da un’amica. E intanto sogno il giorno in cui finalmente potrò aprirmi un’attività».


estratto di Sposato, una figlia, ma si sentiva donna: ha cambiato sesso e da tre anni è senza documenti (http://malanova.vanityfair.it)

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