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martedì 8 luglio 2014

Leda, che dopo il divorzio è diventata donna. Ma non sui documenti

Tamara Ferrari, sul suo blog melanova di vanityfair, racconta la storia di Leda:

«Per una vita mi sono sentita malata, un mostro. Ho cercato in tutti i modi di reprimermi e, sbagliando, ho pensato di costruirmi una vita come tutti gli altri. A 28 anni, pur non avendo mai avuto fino ad allora alcun tipo di relazione sentimentale, mi sono sposata, e mi sono ritrovata a far cose che il mio corpo aborriva, dovevo comportarmi da uomo ma il mio corpo non se la sentiva». Leda ha 48 anni. Per tutta la vita ha vissuto da uomo, pur sentendosi donna dentro. «La pressione sociale era forte, e quando ero adolescente non c’era Internet, non c’erano le possibilità di informarsi che ci sono oggi. Sono cresciuta sentendomi “sbagliata”. Solo dopo l’avvento della rete ho cominciato a capire. Facendo ricerche online ho scoperto che non ero l’unica. E mi sono resa conto che non potevo più mentire a me stessa e agli altri».
«Da un anno sto facendo le terapie ormonali, il mio corpo è già cambiato, ho perso molti chili, mi vesto e vivo da donna», racconta, «Ma sulla carta d’identità c’è ancora il mio nome da uomo perché la legge attuale prevede il cambio dell’identità sui documenti solo dopo l’intervento chirurgico per cambiare sesso». Poi precisa: «O meglio, la legge non parla di operazione, ma i giudici hanno sempre applicato l’interpretazione più restrittiva, così oggi in Italia cambi nome sui documenti solo dopo che ti sei operata, e la burocrazia è lunghissima. Ma questo non è giusto».
«Non si può “obbligare”una persona ad operarsi, l’intervento non è
una passeggiata, molti non possono permetterselo a causa delle loro condizioni di salute»
«Io ci ho messo tanti anni prima di accettare me stessa per quello che ero», racconta Leda, «Da giovane stavo male, mi sentivo sbagliata. A 21 anni sono andata in terapia, dopo due anni la psicologa è riuscita a farmi ammettere che mi sarebbe piaciuto essere una ragazza, ma non è andata oltre, forse perché non era preparata. Vent’anni fa non era mica come oggi!».
Dopo le nozze, ha avuto due figli. «Ma il matrimonio non funzionava, lo mandavamo avanti solo per amore dei ragazzi e per motivi economici», racconta Leda, «Nel frattempo, all’insaputa di mia moglie ho ripreso a frequentare delle sedute terapeutiche, poiché stavo troppo male, e piano piano ho acquistato consapevolezza di me. E lì è stato un dramma, perché non sapevo più che cosa fare. C’era una moglie, c’erano dei figli, c’erano delle responsabilità. Ma c’era anche la vera me stessa che premeva per uscire fuori. Alla fine è arrivato il momento in cui non sono più riuscita a nascondermi, mia moglie ha scoperto tutto e c’è stata la separazione, traumatica».
Leda è andata a vivere da sola, in un paesino in provincia di Savona. Era preoccupata per i suoi figli: «Non volevo che subissero il trauma di vedere il loro padre diventare donna». E per il suo lavoro: «Sono camionista. Ho continuato a lavorare, ma nel frattempo, dopo aver iniziato le cure ormonali, il mio corpo ha cominciato a cambiare, ho perso sette chili. Il mio datore di lavoro se n’è accorto, ho dovuto raccontare quello che mi stava succedendo. Mi sono resa conto di quanto in Italia ci sarebbe bisogno di professionisti che aiutino i datori di lavoro ad affrontare i casi come il mio. Ci vorrebbe un osservatorio, che aiuti entrambe le parti ad affrontare il problema».
E poi c’è la questione dei documenti. «Io, per ora, l’ho risolta andando in comune e facendo mettere sulla carta d’identità la mia foto attuale. Così, anche se c’è il mio nome da uomo, nell’immagine si vede che sono una donna. Con questo escamotage finora non ho avuto problemi. Certo, sarebbe meglio se finalmente potessi chiamarmi Leda anche sui documenti. Per questo chiedo anche io che la legge venga modificata, e che venga fatto in fretta».

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